martes, 25 de febrero de 2014

CORRADO I LANCIA ( LANZA) en Dizionario Biografico degli Italiani- Volume 63 (2004)

LANCIA (Lanza), Corrado
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)
di Patrizia Sardina
LANCIA (Lanza), Corrado.
Di nobile famiglia, originaria del Piemonte, trasferitasi nell'Italia meridionale al
seguito degli Svevi, nacque presumibilmente verso la metà del secolo XIII.
Zurita (p. 419) riferisce che il L. apparteneva al "linaje y casa de los marqueses
de Lanza". La storiografia è divisa sulla paternità del L., ma l'ipotesi più
accreditata è che fosse figlio di Federico Lanza, conte di Squillace e vicario di
Sicilia e Calabria, fratello (o, secondo altri, nipote) di Bianca, imperatrice di
Sicilia, madre di Manfredi Lanza di Svevia, piuttosto che di Galvano, altro
fratello di Bianca. Il L. fu fratello maggiore di Manfredi, ed ebbe una sorella,
Margherita.
I Lancia ebbero stretti rapporti con la Sicilia orientale, soprattutto con Messina;
caddero in disgrazia nel 1268, dopo la decapitazione di Corradino di Svevia.
Federico riuscì a fuggire, ma Galvano fu condannato a morte.
Quand'era ancora fanciullo, il Lancia o Lanza si trasferì in Catalogna con il
seguito di Costanza di Svevia, andata sposa nel 1262 all'infante Pietro d'Aragona,
e studiò in una scuola di corte. Muntaner lo descrive come uno degli uomini più
affascinanti e dotti del mondo, abile oratore e profondo conoscitore della lingua
catalana, dato che sin da piccolo aveva ascoltato le diverse parlate catalane in
Catalogna e nel Regno di Valenza.
Corrado Lancia o Lanza fu investito cavaliere dall'infante Pietro, che diede in
sposa la sorella del L., Margherita, a Ruggero di Lauria.
Divenuto re d'Aragona, il 19 apr. 1278 Pietro III nominò il L. ammiraglio del
Regno di Valenza e a luglio gli affidò il comando di quattro galee armate a
Valenza, per convincere il nuovo califfo di Tunisi, al-Ouathiq, a pagare al Regno
d'Aragona un tributo, considerato in realtà dagli Hafsidi un dono spontaneo.
Secondo Dufourcq, il L. sembrava il più indicato a svolgere la missione, perché
in passato il padre Federico si era recato presso gli Hafsidi, in lotta contro i
Franco-Angioini. Ma al-Ouathiq rifiutò di pagare il tributo e il L. rientrò a
Barcellona a fine estate. In seguito, Pietro III decise di appoggiare Abou-Ishaq
nel tentativo di detronizzare il nipote al-Ouathiq, e deliberò con i suoi consiglieri
di inviare a Tunisi una flotta, comandata dal L., che partì da Valenza con cinque
galee e si recò a Barcellona, dove si unì ad altre cinque. Nell'estate 1279 il L.
fece rotta verso la costa nordafricana e, dopo aver assalito diversi porti, come
quelli di Tunisi e Bugia, si scontrò con le dieci galee merinidi del re del Marocco.
La battaglia navale fu molto cruenta e durò dal mattino al vespro; infine, la flotta
aragonese sbaragliò le galee nemiche e tornò vittoriosa a Valenza, con un gran
numero di prigionieri.
Secondo Muntaner si trattò di un importante risultato per la marina catalana e di
un successo diplomatico, poiché il L. riuscì a porre sul trono Abou Ishaq e a fare
sottoscrivere il trattato tra il Regno d'Aragona e Tunisi, predisposto da Pietro III.
Dufourcq, invece, ridimensiona la portata dell'evento e ricorda che, sulla rotta del
ritorno, le galee catalane costeggiarono il litorale berbero e compirono "une
incursion victorieuse dans les eaux de Ceuta" (p. 201).
Rientrati in Catalogna, il L. e i suoi uomini incontrarono il re a Valenza e
ricevettero una lauta ricompensa in beni e oggetti preziosi. Il 17 nov. 1279 Pietro
III concesse al L. il castello e la città di Albaida, con città e terre da essa
dipendenti, come feudo onorato, senza prestazione di servizio militare, e nel
gennaio 1280 lo nominò governatore del Regno di Valenza, mentre la carica di
ammiraglio fu affidata a Giacomo Perez, figlio naturale del re.
Dopo la stipula del trattato matrimoniale tra Isabella d'Aragona, figlia di Pietro
III, e Dionigi di Portogallo, nel 1281 il L. effettuò una missione diplomatica in
Portogallo, e riuscì a rappacificare Dionigi con il fratello Alfonso.
Poco dopo la rivolta del Vespro, scoppiata a Palermo il 30 marzo 1282, e la
cacciata degli Angioini, il L. reclutò soldati nel Regno di Valenza per la
spedizione in Sicilia organizzata da Pietro III, che rivendicava il possesso
dell'isola in virtù del matrimonio con Costanza di Svevia. Il L. partì con Pietro III
da Portfangos ai primi di giugno 1282, e alla fine del mese sbarcò nel porto
tunisino di Collo. Da lì la flotta aragonese si diresse a Trapani, dove giunse il 30
agosto. Il L. fu a Messina e Trapani tra la fine di gennaio e i primi di maggio
1283 e ricoprì la carica di maestro razionale del Regno di Sicilia.
In seguito accompagnò Pietro III a Bordeaux, dove il 1° giugno 1283 si sarebbe
dovuto svolgere il duello tra il re d'Aragona e Carlo I d'Angiò, per decidere le
sorti della Sicilia. Pietro III cavalcò da Valenza a Bordeaux in gran segreto,
scortato, oltre che dal L., da Blasco Alagona e Berengario Pietratallada,
servendosi come guida di Domenico Figuera, un mercante di cavalli di Saragozza
esperto conoscitore della Guascogna. La comitiva regia giunse a Bordeaux il 31
maggio, ma la sfida non ebbe mai luogo, poiché i due contendenti fecero in modo
di non essere presenti contemporaneamente sul luogo del combattimento .
Il L. accompagnò poi a Palermo la regina Costanza e gli infanti Giacomo e
Federico. Tornato nel Regno di Valenza, nel settembre 1283 il L. ricevette
l'incarico di effettuare una ricognizione delle armi, degli uomini e delle
vettovaglie presenti nei castelli. Inoltre, tra il settembre 1283 e il luglio 1285
ricoprì la carica di maggiordomo regio e maestro razionale. Fra gennaio e ottobre
1284 effettuò una missione alla corte nasride di Granada, per reclutare mercenari.
Quando l'infante Alfonso assediò Maiorca, ribellatasi al re Giacomo, fratello di
Pietro III, il L. ricevette l'incarico di entrare in città e parlare con i probi viri. Per
definire i termini dell'accordo con il luogotenente e gli ufficiali cittadini il L. fece
più volte la spola tra Maiorca e l'accampamento di Alfonso, ottenendo la resa
dell'universitas il 19 sett. 1285.
Dopo la morte di Pietro III, il L. fu testimone in tre atti notarili rogati a Maiorca
il 25 nov. 1285, coi quali Alfonso III, divenuto re d'Aragona, e il fratello
Giacomo, in procinto di essere incoronato re di Sicilia, s'impegnarono
reciprocamente a difendersi, e Ruggero di Lauria fu nominato procuratore, per
ricevere da Giacomo il giuramento di fedeltà. Nel 1285 Alfonso III d'Aragona
nominò il L. alcalde del castello di Játiva e nel 1286 gli donò il luogo di
Montaverner. Nel gennaio 1287 il L. fu inviato a Tunisi per rinnovare l'accordo
commerciale con il califfo Abou-Hafs e ridiscutere la questione del tributo,
continuando a orientare la politica estera della Corona d'Aragona.
Finita la missione, il L. andò nuovamente in Sicilia e il 14 maggio 1287, durante
l'assedio di Augusta, re Giacomo lo mandò a trattare la resa dei ribelli. Dopo tre
giorni di colloqui, durante i quali il L. sfoderò vanamente il suo migliore
repertorio oratorio, alternando minacce e promesse, la parola passò alle armi. Il
23 giugno gli occupanti si arresero, vinti dalla fame, dalla sete e dalla fatica.
Dopo la tregua stipulata a Napoli nel giugno 1287 tra Alfonso III e Giacomo di
Sicilia, da una parte, Roberto, conte di Artois, e il cardinale Gerardo Bianchi di
Parma, baiulo del Regno, dall'altra, e l'accordo concluso nel luglio 1287 a Oléron
tra Alfonso III e i rappresentanti di Carlo II d'Angiò, il L. tornò in Catalogna, nel
dicembre 1287, come ambasciatore del re di Sicilia. Fu poi mandato da Alfonso
III in Inghilterra, per rassicurare Edoardo I circa il rispetto del trattato di Oléron.
Nel 1291 fu testimone delle disposizioni successorie di Alfonso III d'Aragona.
Tra il 1291 e il 1294 il L. ricoprì le prestigiose cariche di maestro giustiziere del
Regno di Sicilia, siniscalco e maggiordomo regio, al servizio di Giacomo II
nuovo re d'Aragona, e fu castellano di Monte San Giuliano (oggi Erice).
Nell'agosto 1291 Giacomo II decise di inviare in Ungheria due ambasciatori per
sottoporre all'attenzione del re alcuni capitoli e chiese al fratello Federico,
luogotenente del Regno di Sicilia, di emendarli con l'aiuto del L. e di Giovanni
da Procida.
In seguito il L. passò dalla parte dell'infante Federico, che rivendicava la corona
siciliana contro il fratello Giacomo II. Quest'ultimo inviò in Sicilia Ramón de
Villanova per trattare con Federico e la regina Costanza, e continuò invano a
spedire lettere al L. fino al 22 luglio 1294 per richiamarlo in Catalogna. Dopo
diversi vani tentativi, il 30 luglio 1294 Giacomo II decise di destituirlo dalla
carica di giustiziere, che affidò a Ramón Alamany insieme con il controllo del
castello di Monte San Giuliano.
Considerandolo uno dei principali artefici del mancato accordo con Federico,
Giacomo II confiscò al L. tutti i possedimenti posti nel Regno di Valenza e il 17
luglio 1296 donò il castello e la città d'Albaida e la torre di Carrícola a
Berenguer de Vilaragut.
In compenso, Federico III, incoronato re di Sicilia nel marzo del 1296, contro
il volere di Giacomo concesse al L. la terra e il castello di Caltanissetta il 20
sett. 1296, i proventi della terra di Naro e la carica di cancelliere, che il L.
ricoprì senza interruzioni dall'aprile 1296 all'aprile 1299, spostandosi con il re in
diverse città e terre della Sicilia (Palermo, aprile 1296; Messina, maggio-ottobre
1296; Milazzo, maggio 1297; assedio del castello di Castiglione, maggio-agosto
1297; Palermo, febbraio 1298; Messina, aprile 1298; Catania, gennaio 1299;
Nicosia, aprile 1299).
Nel 1296, quando la città di Squillace si arrese, inviando ambasciatori a Federico
III, l'accordo di pace fu stipulato tramite il L., che era consanguineo dello
spodestato Galvano Lancia, divenne il principale consigliere di Federico III. Nel
frattempo maturava la rottura definitiva con il cognato Ruggero di Lauria,
passato dalla parte di Giacomo II. Secondo Speciale, in un primo momento il L.,
"vir magni consilii", s'interpose come mediatore tra Federico III e il Lauria
"adiectis utili consilio precibus" (p. 367), cercando di placare l'animo del re,
irritato dallo sprezzante atteggiamento del Lauria, asserragliato nella rocca di
Castiglione. Ma quando il 20 nov. 1297 Carlo II d'Angiò nominò il Lauria
ammiraglio del Regno di Sicilia, costui fu dichiarato traditore e il L., in qualità di
cancelliere, emanò due documenti a lui contrari. Con il primo, datato 9 febbr.
1298, il re nominava il conte Ramón Folc procuratore nel processo di lesa maestà
contro il Lauria; con il secondo, il 10 aprile Federico III concedeva a Garçia di
Per de Linguida la terra di Motta Camastra, confiscata al Lauria.
Nel 1298 Giacomo II, giunto a Milazzo, inviò suoi ambasciatori a Federico III
per chiedere la restituzione delle galee e dei prigionieri catturati dai Messinesi,
ma il Consiglio regio si divise e il più deciso avversario di Giacomo II fu proprio
il L., che esortò Federico a preparare la flotta e combattere senza esitazioni.
Dopo la decapitazione di Giovanni di Lauria, nipote di Ruggero, che si era
ribellato e che fu condannato come traditore dalla Curia regia, la tensione era
ormai altissima e non rimanevano più margini per trattative diplomatiche. Il 4
luglio 1299 nelle acque di Capo d'Orlando la flotta catalano-angioina, guidata da
Ruggero di Lauria, fu attaccata da quella siciliana, capeggiata da Federico III,
che aveva deciso di accogliere l'incitamento del L., nonostante il parere contrario
di altri consiglieri.
Sebbene alcuni storici ritengano che il L. abbia perso la vita nella battaglia
navale di Capo d'Orlando, la questione è controversa. Speciale non include il L.
fra i nobili che combatterono a fianco del re, né descrive la sua morte, ma si
limita a riferire lapidariamente che Federico III, tornato a Messina dopo lo
scontro, nominò Vinciguerra Palizzi cancelliere, "quia Conradus Lancea tunc
cancellarius obierat" (p. 406). Inoltre, dalle fonti documentarie sappiamo che il
Palizzi era già in carica come cancelliere il 15 giugno 1299, cioè venti giorni
prima della battaglia.
Probabilmente il L. fu sepolto nel duomo di Messina, dove tra il 1651 e il
1879 è segnalata la presenza di un sarcofago marmoreo di un Corrado
Lancia, collocato tra l'altare del Crocifisso e quello di S. Rocco, in cui, sotto
lo stemma gentilizio si leggeva il seguente epitaffio: "Lancea Corradus titulis
spectatus, et armis, / Et sua posteritas haec monumenta tenet" (Inveges, p.
89). Tuttavia, dato che le tracce del sepolcro furono cancellate dal terremoto
del 1908, non si può stabilire a quale Corrado Lancia appartenesse.
Il L. prese in moglie Berengaria de Santa Fede, ma non sono noti elementi
sufficienti per valutare la fondatezza della notizia che ebbe due figli, Pietro e
Blasco, i quali non gli sopravvissero. Alla morte del L. la vedova continuò a
vivere in Sicilia, dove il marito le aveva lasciato l'usufrutto del castello e della
terra di Caltanissetta e dei proventi della terra di Naro. In seguito Berengaria
sposò il cavaliere catalano Pietro Ferrando de Vergua e morì prima del 14 giugno
1311; pertanto, in base al testamento del L., i feudi siciliani andarono al nipote
Pietruccio Lancia, figlio del fratello Manfredi. Invece, dopo la confisca
comminata al L. da Giacomo II, i possedimenti valenzani furono
irrimediabilmente perduti e nel 1324 Maria Garçia de Santa Fede, sorella ed
erede di Berengaria, tentò invano di recuperarli.
Dato che il L. morì nel 1299 non va confuso con il milesCorrado Lancia di
Castro Mainardo vissuto tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, che nel
1302 fu presente alla stipula della pace di Caltabellotta; tra il 1309 e il 1311
partecipò alla spedizione a Gerba; dal 1306 al 1312 fu secreto, maestro razionale
e maestro portulano del Regno di Sicilia. Muntaner antepone sempre al nome del
L. il titolo "en", ossia don, mentre definisce Corrado Lancia di Castro Mainardo
"misser". Anche Speciale distingue i due personaggi, chiamandoli Corrado
Lancia de Castro Maynardo e Corrado Lancia senior.



ATTUALITÁ
L’albero genealogico della famiglia continua oggi in CASA LANZA DI TRABIA di Argentina.
Fu il Primo Capo di questa nobile famiglia in Argentina il principe di Trabia Cipriano Lanza Branciforte di Trabia.










 Fonti e Bibl.:
Arch. di Stato di Palermo, Regia Cancelleria, regg. 1, cc. 55v, 59r, 65v; 2, cc. 6v, 8v, 28v; Bartholomaeus
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Speciale, Historia Sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum, qui res in Sicilia gestas sub Aragonum
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